Prefazione al libro “Confini” di Carlo Ferrara

“La fantasia è un posto dove ci piove dentro.”

Italo Calvino, Lezioni americane, 1988

In questo suo terzo libro, Carlo Ferrara ci conduce lungo un viaggio fra i confini: ciò che ci separa e nel contempo ciò che ci unisce, tutto quello che abbiamo in comune con l’altro e con l’oltre. Ci fa percorrere una strada sino ai confini delle nostre possibilità, chiedendoci poi di fare un passo oltre, di varcare i confini dell’ovvio, permettendoci così l’esplorazione del possibile.

In questo suo cammino, il fotografo è stato accompagnato dalle mirabili visioni delle Città invisibili di Italo Calvino, quella grande opera scomponibile all’infinito che a distanza di quarantacinque anni continua a ispirare poeti, architetti, studiosi e artisti.

È obbligo soffermarsi sul ruolo dell’ispirazione fornita dalle parole di Calvino al nostro fotografo: esse non gli suggeriscono una interpretazione visuale delle cinquantacinque città - ruolo già espresso da decine di artisti attraverso diverse discipline - bensì il libro sembra un fedele compagno dell’esperienza urbana, un testo al quale Ferrara affida anche il compito di musa. Questo, come per Calvino, è l’inizio di una memoria nella quale perdersi e costruire mondi possibili e nuove connessioni. Come già il grande scrittore ci indica nelle sue Lezioni americane: «sono le immagini stesse che sviluppano le loro potenzialità implicite, il racconto che esse portano dentro di sé», così a dar vita al processo immaginativo di Ferrara è il partire dall’immagine visuale e da questa produrre un racconto, portando alla realizzazione di fotografie che dialogano con noi immergendoci in un sogno («tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura»).

Questo è anche un viaggio nei lavori inediti dell’artista, un delicato girovagare nei propri archivi, un pellegrinaggio per il quale molti fotografi partono di tanto in tanto, cogliendo non senza sorpresa immagini dimenticate o lasciate riposare nei cassetti, in attesa che il tempo ne esalti i profumi e i significati. In questo modo «attorno a ogni immagine ne nascono delle altre, si forma un campo di analogie, di simmetrie, di contrapposizioni»  perché «ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario di oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili».

Quindi dopo il rimescolamento dell’archiviazione, occorre ricostruire un ordine, più ordini, che dispieghino le storie. L’ordine: una condizione indispensabile per qualunque cosa la mente umana si trovi a dover comprendere, un atto di equilibrio di estrema precarietà nel quale il nostro fotografo - con l’abilità di un Philippe Petit - passeggia su corde molto sottili per scoprire, con lui, che i limiti e i confini, esistono soltanto nell’anima di chi è a corto di sogni. Mentre i confini tra sogni e narrazione - come in ogni opera dell’arte - si fanno rarefatti e impalpabili. E la narrazione di Ferrara, che ruota attorno ai sogni, genera un’altra realtà e la illumina.

Ma come nella biblioteca di Borges nella quale non dobbiamo contarne i libri per vederne i confini, perché essa è infinita, così non serve chiedersi se Carlo Ferrara, nei suoi cassetti, custodisca abbastanza fotografie che completino le sue storie, perché anch’esse sono senza fine, senza confini, come i sogni dei bambini.

Marco Maroccolo, Settembre 2018.

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